Gli Organi Storici della Citta’ di Alessandria

Gli Organi Storici della Citta’ di Alessandria

GLI ORGANI STORICI DELLA CITTA’ DI ALESSANDRIA

by Letizia Romiti

A differenza di molte città italiane, nelle quali si conservano esemplari appartenenti a secoli diversi, Alessandria vanta un patrimonio organario eccezionalmente omogeneo.

Tralasciando quegli strumenti del Novecento  che per le loro caratteristiche non presentano un rilevante interesse dal punto di vista storico, come pure quelli dii recentissima costruzione, tutti gli organi storici attualmente esistenti in Alessandria  risalgono ad un lasso di tempo che eccede di poco il mezzo secolo: il più antico di questi, conservato nella chiesa di Nostra Signora di Loreto, fu costruito nel 1840; il più recente, un positivo che si trova nella chiesa Parrocchiale del quartiere Orti, è datato 1895.

 

Nella provincia sono invece sopravvissuti alcuni strumenti risalenti al secolo XVIII ed all’inizio del XIX, e gli archivi delle chiese dove si trovano forniscono una documentazione quasi sempre esauriente riguardo alla loro costruzione ed alle vicende cui andarono incontro.

 

Pur tenendo presente che le zone di provincia sotto questo aspetto sono sempre più fortunate dei capoluoghi, in quanto meno esposte ai danni provocati dalle guerre come pure a quelli causati da euforiche ed acritiche manie di modernismo a tutti i costi, viene naturale chiedersi il perché di questa singolare situazione tanto più quando, nel corso delle ricerche d’archivio, ci imbattiamo in documenti che testimoniano inoppugnabilmente che in alcune chiese, al posto degli strumenti ottocenteschi che ancor oggi si possono ammirare, si trovavano organi ben più antichi dei quali non è restata la minima traccia.

 

Non avendo traccia di un importante avvenimento risalente alla prima metà dello scorso secolo che possa giustificare la scomparsa di tutti gli esemplari anteriori all’organo della chiesa di  Nostra Signora di Loreto, dobbiamo limitarci a ricavare dalla storia della città alcuni dati che nel loro insieme possano fornire una spiegazione almeno parziale della relativa modernità degli strumenti che si sono conservati fino ad oggi.

 

Possiamo citare come inizio alcune cause naturali: durante il dominio spagnolo (1559 – 1706) la città fu colpita da venticinque gravi inondazioni dei fiumi Tanaro e Bormida.

In seguito, quando la zona di Alessandria era ormai parte dei possedimenti sabaudi,  si verificò un evento ben più degno di nota:  nel 1728 la città subì una radicale ristrutturazione urbanistica.

Venne infatti abbattuto in quell’anno il quartiere Borgoglio,  che si trovava sulla riva sinistra del fiume Tanaro, ed al suo posto venne innalzata l’attuale Cittadella, progettata dall’architetto militare Ignazio Bertola. La vecchia, che sorgeva dov’è oggi piaza Matteotti, venne adibita a pubblico passeggio; i lavori terminarono nel 1768.

 

Il quartiere demolito ospitava all’incirca quattromila abitanti, e sebbene molti degli sfrattati, specialmente quelli dediti all’agricoltura, avessero preferito in quell’occasione rimanere fuori dalle mura della città,  stabilendosi in quelle zone che oggi corrispondono alle frazioni S. MIchele e Valmadonna, alcune famiglie nobili, diverse confraternite e chiese, molti negozianti ed artigiani si trasferirono sulla sponda opposta del fiume.

 

Questa circostanza provocò un imponente rinnovamento edilizio.

Vennero fra l’altro costruiti proprio allora molti di quei palazzi destinati alla vita pubblica e privata che con il loro stile austero conferiscono ancor oggi ad Alessandria una caratteristica fisionomia.

Contemporaneamente vi fu anche una fioritura di nuovi edifici destinati al culto: vennero fatte erigere in quegli anni le chiese di S. Alessandro (data incerta  fra il 1746 ed il 1758), di S. Lorenzo, progettata dall’ architetto Giuseppe Domenico Trotti (1770), di S. Stefano (1773), di S. Rocco (1774), di S. Giovannino (1769) la cui facciata fu rimaneggiata nell’Ottocento.

 

Il 6 dicembre 1798 la città fu annessa alla Repubblica Francese.

L’operato di Napoleone I contribuì senza dubbio al progresso economico, sociale ed ideologico dei cittadini, ma è ormai evidente a tutti come egli non si sia mai posto il problema della tutela dei numerosi beni artistici ed architettonici esistenti in Alessandria, permettendo invece l’attuazione di inqualificabili disastri.

Ordinò ad esempio la demolizione della vecchia Cattadrale, che fu abbattuta nel1803, affinché la piazza principale diventasse  ben squadrata e più idonea allo svolgimento delle parate militari che l’Imperatore tanto amava.

 

Nel primo periodo del suo governo Napoleone trasferì la sede vescovile da Alessandria a Casale; soppresse le feste religiose ed incamerò i beni degli Ordini e delle Confraternite. Trasformò poi un buon numero dei conventi e delle chiese requisite in caserme, depositi ed ospedali militari: gli interni di codesti edifici subirono ovviamente notevoli danni e forse anche molti documenti relativi agli organi costruiti prima dell’Ottocento sparirono proprio allora.

 

Lo storico Fausto Bima, nel corso della sua “Storia degli Alessandrini” (19665) , ricorda che in svariate occasioni dai campanili delle chiese furono perfino asportate le campane, che servivano a sopperire al costante bisogno di munizioni.

In assenza di prove non si può stabilire se un analogo destino sia mai toccato alle canne di qualche antico strumento, ma vale la pena di segnalare che nel 1915, quando la chiesa di S: Rocco fu occupata dall’Amministrazione del genio Militare il parroco si preoccupò di rendere inaccessibile l’ingresso alla bussola sopra il portone ove era collocato l’organo, come risulta da un documento conservato nell’archivio parrocchiale.

 

Vittorio Emanuele I di Savoia, che riprese possesso della città nel 1814,  ripristinò la sede vescovile ad Alessandria, ma per il  resto la dinastia continuò scrupolosamente fino al nostro secolo l’opera del predecessore straniero, trasferendo le chiese ed i conventi confiscati dal Bonaparte al demanio militare sabaudo, potenziando ulteriormente l’aspetto di fortezza della città  ed attuando quello che sempre lo storico Bima  definisce “il più grosso processo di distruzione monumentale che Alessandria abbia mai avuto”.

Per futili motivi, quali facilitare le manovre dell’esercito o provvedersi di edifici destinati al vettovagliamento dei soldati o per ospitare truppe alleate, come avvenne nel 1859 all’arrivo delle armate di Napoleone III, nel corso dell’Ottocento vennero abbattute, requisite o danneggiate numerosissime chiese, delle quali alcune risalivano addirittura al XV secolo.

 

Fra tanto sfacelo  nel 1825 si segnala in compenso la posa della prima pietra della nuova chiesa dedicata a Nostra Signora di Loreto, consacrata nel 1833, la cui facciata fu progettata da Leopoldo Valizzone in stile neoclassico, con l’evidente pretesa di ispirarsi al Pantheon.

 

Il secondo conflitto mondiale recò l’ultimo contributo alla depauperazione del patrimonio organario alessandrino.

Fra il 1940 ed il 1945 la città subì numerosi bombardamenti che danneggiarono fra l’altro le facciate di alcune chiese, compromettendo anche gli organi che si trovavano sopra il portale d’ingresso, destino che toccò a quelli delle chiese di Nostra Signora di Loreto e di S. Maria del Carmine.

 

 

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PARTE SECONDA

 

Se la mancanza di strumenti rinascimentali, barocchi e settecenteschi rappresenta indubbiamente una grave lacuna, che limita di molto il complesso degli organi storici di Alessandria, tale difetto consente però che la descrizione delle caratteristiche dei singoli strumenti e delle peripezie da essi subite costituisca un discorso unitario, che non riveste un interesse puramente specialistico ma che diventa invece un’importante testimonianza del gusto musicale e del costume sociale del nostro Ottocento.

 

Nel XVIII secolo l’arte organaria italiana era ormai ben emancipata dalla tradizione classica, i cui prodotti erano stati gli strumenti cinquecenteschi e del primo Barocco, di norma con una sola tastiera e con un apparato fonico limitato ai registri di Ripieno, unoi o due Flauti più il registro “oscillante” denominato Voce Umana, deto più propriamente “Fiffaro”.

Seguendo l’esempio dei Paesi stranieri, era diventata ormai consuetudine l’aggiunta di nuovi timbri quali i Cornetti e e Ance, di svariate caratteristiche e dimensioni.

Nel secolo successivo la tendenza ad inserire negli strumenti italiani questi ed altri nuovi registri, definiti “da concerto” , trasse un nuovo incentivo dalla polarizzazione di tutta l’attività musicale e musicofila italiana operata da parte della musica lirica.

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